The Sea of Trees.
Aokigahara è una foresta giapponese alle pendici del monte Fujii tristemente nota come luogo da molti scelto per porre fine alla propria vita. Proprio per questo motivo l'americano Arthur Brennan vi si reca. Non solo i motivi di questa scelta ma anche un percorso verso la riscoperta della voglia di vivere verranno approfonditi.
Quest'ultima fatica di Gus Van Sant è stata accolta clamorosamente male al Festival di Cannes, palcoscenico scelto per presentarlo. "La foresta dei sogni" infatti è un film che può o incantare o deludere profondamente, dipende da chi lo guarda e da come ci si pone. Da una parte troviamo la tecnica del flashback che riporta lo spettatore ai retroscena del perchè Arthur ha deciso di recarsi nella foresta: un'amore dato per scontato che si riavviva solo per poi perdersi definitivamente, un profondo senso di colpa e rimpianto per non averlo vissuto finchè si era in tempo, assieme ovviamente al dolore per averlo perso. Dall'altra abbiamo il viaggio attraverso la foresta per portare fuori Takumi Nakamura, un uomo che Arthur incontra della foresta e che ha deciso di rimanere aggrappato alla vita a tutti i costi per riabbracciare la sua famiglia, pentito della sua scelta. La fine di questo viaggio segnerà il manifestarsi poi di numerosi colpi di scena dall'animo surreale e mistico. E' proprio questo misticismo di cui specie l'ultima parte della pellicola è permeata che può indurre lo spettatore o ad elevare la propria considerazione del film o a ridurla consistevolmente. Dal punto di vista tecnico la regia offre delle interessanti sequenze ed inquadrature, la fotografia si alterna tra panorami meravigliosi ed altre immagini meno degne di nota, la sceneggiatura offre delle belle battute e significati che però possono o meno perdersi dietro quest'aura metafisica di cui essa stess riveste il film. Per ultimo il cast con un M. McConaguey sempre sul pezzo che continua a donarci questi pianti a denti stretti che alle volte possono commuovere mentre altre non convincere a pieno: è una scelta interpretativa. Molto bene anche N. Watts e K. Watanabe. In sostanza dunque un lavoro non eccellente e certo non al pari dei precedenti lavori di Gus Van Sant ma che allo stesso tempo non critiche così negative poichè parla di tanti temi come la morte, la vita, l'amore e lo fa con un coraggioso stile atipico.